sabato 29 maggio 2010

ARCHEO ATTACK – FACCIAMOCI UN NURAGHE DA NOI SENZA COLLA VINILICA

di Desi Satta

Cari amici, abbiamo un po’ di tempo libero e uno spazio nell’orto? E allora dai: facciamoci un nuraghe e rinverdiamo i fasti dei nostri avi costruttori.

Cosa ci vuole e quanto tempo? Seguite le istruzioni passo dopo passo e lo saprete: buon divertimento!

Ah, un’ultima cosa: al contrario di Art Attack non servono i cilindri di cartone della carta igienica né la colla vinilica.

  1. Individuate un’area libera di 12x12 mq nel vostro orto; assicuratevi che sia facilmente raggiungibile dal cancello e che disponga di un’area adiacente (il parcheggio dietro il supermarket accanto a casa andrà benissimo) in cui stoccare gli ingredienti per il gioco;
  2. Prendete una corda intrecciata con fibre vegetali (le foglie di asfodelo vanno benissimo) lunga una decina di braccia;
  3. Piantate un piolo nel terreno al centro dell’area individuate e legateci la corda;
  4. Tagliate un ramo alla lunghezza di un braccio;
  5. Misurate otto braccia sulla corda partendo dal piolo e fate un nodo;
  6. Tracciate un cerchio in corrispondenza del nodo;
  7. Ripetete la procedura per una lunghezza di quattro braccia circa 2,25 m).

A questo punto abbiamo ottenuto la pianta del nostro nuraghe. Sì è vero, somiglia moltissimo alla pianta del nuraghe Sa Pedra di Macomer (cfr Moravetti). A questo punto decidete che materiale intendete usare. Abitate in periferia? Benissimo, allora non avrete difficoltà. Nella zona di Macomer? Fantastico, perché nel raggio di 300m da casa vostra (in media) troverete tutto il materiale di cui abbisogniate. Se così non fosse leggete fino alla fine e saprete come fare.

  1. Contattate vostro cognato, proprietario di quattro buoi per le due traccas che usa a carnevale e ditegli che volete fare un nuraghe nell’orto; se non vi manda immediatamente a quel paese, visto che ci siete, chiedetegli anche se ha un paio di amici (tre) che non hanno niente da fare (andranno benissimo tre operai in cassa integrazione che risparmieranno un sacco di soldi evitando di bere birra al bar) e fatelo venire a casa vostra;
  2. Adesso prendete una quarantina di metri di corda intrecciata con fibre vegetali (bella robusta), quattro robusti pali di ginepro dritti e lunghi dieci braccia, sei o sette pali di ginepro da utilizzare come leva e come slitta;
  3. Quando gli amici arrivano, dite loro che avete bisogno di portare qualche pezzo di trachite nel parcheggio del supermarket dietro casa, e mostrate loro l’elenco di fig 1;
  4. Se per caso vi dicono che siete matto, fategli notare che in fondo si tratta di sassi non troppo grandi e specificate che i più grandi in assoluto (quelli da 1 mc di media) sono solo 75 e devono essere allungati (ad esempio l= 2m; h=0,4m; d=0,7m) quindi più facili da movimentare di un cubo da un metro di spigolo; dite anche che di quelli davvero grossi ne servono pochi, e possono prenderli anche da 0,8mc, o 0,7mc, basta che siano di forma allungata e ragionevolmente piatti;
  5. Quando finalmente li avrete convinti (se avete un bel po’ di cannonau sarà più facile) spiegate loro che devono fare come segue: trovato il sasso devono sollevarlo con due leve ad un’estremità e poggiarla su un palo di ginepro lungo due braccia o poco meno; imbragarlo al palo e ripetere l’operazione con un altro palo (i pali vanno imbragati trasversalmente al senso della lunghezza alle due estremità); una volta che il masso è imbragato si solleva con due leve e si caccia sotto uno dei pali, orientato in direzione del parcheggio del supermarket; poi si ripete con un altro palo, disposto parallelamente al primo a distanza di un braccio; per tirarlo sui binari si usano i buoi; a questo punto si fanno tirare i quattro buoi e ci si muove; quando i pali sono stati percorsi, se ne mettono altri due, si prendono quelli rimasti indietro e si mettono davanti; se tutto va bene e non ci sono muretti a secco o altri ostacoli, si va facilmente ad una velocità di 200 m/h (includendo il tempo perso per l’imbragatura, anche se si va in pendenza, basta che non sia troppo accentuata); naturalmente non devono partire dai sassi più grandi, lo faranno se li trovano vicini, altrimenti prenderanno quello che c’è spuntando di volta in volta dall’elenco, e facendo carichi da 1 mc circa, che è un volume facile da trasportare; nel caso di pietre piccole (ad esempio da 300 kg, se ne prenderanno tre o quattro alla volta, usando una slitta;
  6. A questo punto almeno uno degli amici si ricorderà che il nonno, quando aveva spietrato un campo per coltivare il grano, aveva usato i buoi per tirare via i massi di dimensioni più grandi, che erano più o meno come quelli che occorrono, e li aveva fatti semplicemente strisciare per terra trainandoli con i buoi; voi fategli notare che con la vostra tecnica si fa molto prima, perché si evita che i massi si piantino nel terreno; se non sono convinti, cercate altri amici, tanto oggi in Sardegna di gente in cassa integrazione ce n’è moltissima;
  7. Mentre loro si allontanano, ricordatevi di ringraziare la Madonna del Rimedio perché nessuno (a causa del cannonau bevuto) ha pensato di domandarsi quanto tempo impiegheranno; per saperlo basta moltiplicare la distanza media a cui si trovano i massi (300m, quindi parecchi anche più lontani) per la cubatura da trasportare (circa 842 mc), che risulta di 158 giorni se si lavora otto ore al giorno o 126 se si lavora dieci ore; naturalmente se avete molti amici e costituite due squadre (otto uomini, otto buoi), impiegherete 80gg oppure 65; ma se si usano quattro squadre (sedici uomini sedici buoi), allora i tempi si riducono a 40gg e 33gg; insomma: se avete molti amici (sedici non è un numero elevato), in un mese o poco più avete finito;
  8. A questo punto avvertite il proprietario del supermarket che avrà qualche problemino per un po’ di tempo e partite per un viaggio alle Fiji, avendo l’accortezza di lasciare le chiavi della cantina a disposizione degli amici che portano i sassi;

Dopo un mese (voi avete molti amici e ne avete trovato sedici senza problemi) tornate a casa abbronzati da fare schifo e non trovate parcheggio al supermarket. La vostra riserva di Cannonau è esaurita e la casa è ridotta un disastro, ci sono bottiglie dappertutto e vostra moglie chiede il divorzio. A questo punto fate un salto al Rimedio per lasciare un ex voto e lungo il ritorno fermatevi ad ordinare un’autobotte di cannonau perché ne avrete bisogno: state per avviare la realizzazione del nuraghe.

  1. I vostri sedici amici (con vostro stupore) sono contentissimi del lavoro che hanno svolto (e del vino che hanno bevuto); non vedono l’ora di dare l’avvio ai lavori; addirittura ce ne sono altri quattro che vorrebbero aggiungersi all’impresa e voi non sapete dire di no;
  2. Lasciatevi convincere perché otto braccia in più fanno comodo e, visto che ci siete, chiedetevi se raddoppiando le risorse (arrivando a quaranta uomini) non si potrebbe fare prima;
  3. Presi dal dubbio, cercate pure Tziu Tottoi, che da una vita costruisce muretti a secco (e sa bene come fare ad incastrare le pietre l’una con l’altra) e chiedetegli se ha voglia di darvi una mano;
  4. Siccome siete fortunati (la fortuna arride sempre ai folli) Tziu Tottoi si rende disponibile e vi suggerisce di cercare altri venti volontari per un totale di quaranta, da suddividere in quattro squadre da dieci (con due buoi ciascuna) per tirare su i primi quattro o cinque metri di torre;
  5. Ordinate subito un’altra autobotte di Cannonau;
  6. Andate alla sede del locale partito indipendentista NI (Nuraki&Indipendentzia) e manifestate l’intenzione di realizzare un Nuraghe; venti attivisti si renderanno immediatamente responsabili anche senza chiedervi per quanto tempo, basta che ci sia vino a sufficienza;
  7. Tziu Tottoi aggiunge alla pianta del nuraghe alcuni elementi che avevate dimenticato: il corridoio d’ingresso strombato verso l’interno, una nicchia di corridoio a destra e l’attacco della scala a sinistra; lasciatelo fare perché significa che sa quello che fa;
  8. Tziu Tottoi porta le quattro squadre nel parcheggio del supermarket e indica loro le pietre da portare per il primo filare, che sarà alto circa ½ metro; per fortuna le pietre più grandi sono ancora imbragate, mentre le più piccole vanno mosse con una slitta;
  9. Tziu Tottoi parte dall’ingresso e dispone due massi da circa 0,32 mc (0,8x0,8x0,5 mc), poi procede verso l’interno definendo il contorno della nicchia e quello dell’attacco del vano scala; mentre le squadre lavorano, Tziu Tottoi indica di volta in volta le pietre da portare; quando si sbaglia, lascia i massi in vicinanza del Nuraghe e ne sceglie altre; il lavoro procede come segue: a partire dall’ingresso si dispongono i massi più regolari ed allungati lungo i perimetri esterno e interno e , mano a mano che si procede, si riempiono i vuoti tra i due perimetri con conci irregolari e di dimensioni più piccole, avendo cura di riempire i vuoti con pietre di dimensioni adatte. (Si tratta della tecnica ‘a sacco’. Il nuraghe è realizzato ‘a secco’, ‘a sacco’)
  10. Fortunatamente, Tziu Tottoi è un pensionato, quindi si dedica a tempo totale alla costruzione; ciascuna squadra (in media tra conci grandi e piccoli) porta una pietra ogni mezza giornata di otto ore (per vostra fortuna il parcheggio è a 20 metri dall’orto e, per il primo filare, si devono solamente far strisciare sul terreno, per il secondo, si devono sollevare solo di 50 cm; quindi il valore di una pietra ogni mezza giornata di otto ore è una media tra i due filari). Dopo nove giorni (di otto ore), il primo metro di nuraghe è completo; se siete riusciti a farli lavorare per dieci ore, avete impiegato solo otto giorni, però non ne vale granché la pena; decidete voi.
  11. Tziu Tottoi, che sa quello che fa, ha disposto un aggetto di un palmo ogni due filari per il paramento della camera interna e un palmo ogni quattro per il paramento esterno, usando un triangolo fatto con tre rami belli dritti e un pezzetto di corda legata a un sasso. Quando fa poggiare i massi dei due perimetri esterno/interno verifica che l’aggetto e la scarpa siano più o meno costanti;
  12. Senza por tempo in mezzo, Tziu tottoi sceglie pietre di taglia più piccola (in media 0,6 mc) e si dedica al secondo metro di nuraghe; ci sono da poggiare (in media) altri 75 conci, però si devono portare ad un’altezza maggiore (max 1,5 m); si può farlo senza ponteggi, con leve e cunei, che è più laborioso; le squadre ne poggiano una al giorno (di otto ore); per completare il secondo metro ci impiegano 31gg; se lavorano dieci ore, sono 25gg;
  13. A questo punto avete posato 151 mc di massi;
  14. proseguite il metro successivo con massi da 0,3 mc (peso 750 kg); a questo punto il sollevamento è più agevole perché in dieci si suddivide il peso in ragione di 75 kg ciascuno; potete usare il principio della carrucola ed un ponteggio, o magari anche i buoi) oppure il solito metodo dei cunei che fino a tre o quattro metri va benissimo; poggiando 7 massi ogni dieci ore (in quattro squadre, quindi meno di due al giorno) ve la cavate in 45 gg (di otto ore) o in 36 giorni di dieci ore;
  15. Contenti? state lavorando da 85 gg ed avete tirato su tre metri di nuraghe (oppure 68 gg, dipende); le maestranze cominciano ad averne le tasche piene, ed allora dite loro che il più è fatto e che, se costruiranno un altro metro; arrivando a quattro, avranno costruito i tre quarti della torre, e i più stanchi di loro potranno tranquillamente tornarsene a casa;
  16. Siccome non sono scemi (anche se hanno accettato di lavorare gratis) vi faranno notare che hanno messo in opera solo 226 mc, e ad arrivare a 842 ce ne corre! Allora ditegli che vi riferivate al tempo, non al volume e, se vi daranno retta, dimostrerete come sia possibile; mescete abbondante vino e procedete;
  17. Per il quarto metro, si usano sassi da 0,25 mc; pesano meno ma devono andare più in alto, quindi la frequenza di posa rimane la stessa, ma il numero di sassi è maggiore; ci vogliono 53 gg (di otto ore) o 42gg (di dieci);
  18. A questo punto, un sacco di gente vi manda a quel paese e se ne va; stanno lavorando da 138gg (o 110), sono tre mesi e la torre è arrivata a soli quattro metri, il parcheggio è ancora ingombro di sassi e il proprietario vi aspetta in fondo alla via per troncarvi in testa una mazza da baseball; il vino è quasi finito, la vostra ex moglie vi tartassa con gli avvocati (e fa bene), mentre la casa è ridotta ad un porcile; vi ritrovate con venti persone (più Tziu Tottoi che sogghigna) e vi sentite persi; non preoccupatevi, cementate il gruppo sparlando dei bastardi che vi hanno abbandonato e procedete facendo leva sul nazionalismo, anche perché Tziu Tottoi vi ha detto che nel cantiere non ci sarebbe stato spazio per quaranta persone, visto che sul nuraghe non avrebbe saputo dove metterle; sono rimasti i conci da 0,125 mc (che pesano circa 300 kg) e questi si sollevano con facilità;
  19. Ordinate un’altra autobotte di cannonau e dividete gli uomini in tre squadre: due da sette e una da sei;
  20. Le due squadre da sette lavoreranno alla posa dei conci, quella da sei al trasporto; con Tziu Tottoi che bada solo alla posa, (ed ha aumentato l’aggetto della camera interna di un altro palmo) il lavoro si svolge come segue: i sei del trasporto portano 15 conci all’ora dal parcheggio alla base della torre (con un paio di buoi è un giochetto, si tratta di una ventina di metri) mentre le due squadre da sette tirano su i conci; possono farlo in diversi modi, ma stiamo parlando di trecento chili suddivisi tra sette persone, cioè una quarantina di chili a testa; inoltre si deve considerare che solo i conci dei due paramenti esterno/interno devono essere disposti con molta cura (rispettando la scarpa esterna mantenuta costante e l’aggetto della camera interna) mentre il riempitivo è meno importante e Tziu Tottoi se ne preoccupa meno, dando uno sguardo ogni tanto; si poggiano 15 conci all’ora per i metri cinque, sei e sette; significa che la squadra trasporta circa 2 mc /h (due viaggi da poco più di 1 mc, per 20 m) e ciascuna squadra solleva ad un’altezza media di sei metri circa sette/otto sassi ora; non preoccupatevi perché la gran parte dei massi saranno assai piccoli e soprattutto arrivati ai sei metri e chiusa la tholos centrale (a 6,20 m) non occorreranno più conci di forma particolare per il cuore dell’edificio, e si dovrà porre cura solamente al paramento esterno; ci vogliono in tutto 14gg (di otto ore) o 12gg da dieci;
  21. Adesso i vostri amici sono entusiasti, perché avete completato i tre metri in pochissimo tempo, e voi spiegate che per i successivi sarà ancora più facile, perché non c’è da preoccuparsi di quel buco al centro dove ogni tanto qualcuno rischia di cadere;
  22. Se volete fermarvi adesso che la sommità è chiusa, scordatevelo; Tziu Tottoi vi dice che ci vuole un po’ di peso per stabilizzare tutto e bisogna andare avanti, con massi tutti più o meno della stessa misura; continuate i metri 7,8,9 con una frequenza di posa più bassa (è più semplice posarli ma si è anche più in alto) diciamo dodici massi ogni ora; ci vogliono 15gg (o 12 gg);
  23. infine altri tre metri per arrivare a tredici con una frequenza di dieci massi ora; in tutto come in fig 2: 182gg di otto ore, oppure 146gg di dieci ore (fig 3);

Bello, no? Avete nell’orto di casa un nuraghe alto 13 m con 11m di diametro alla base, una tholos interna alta 6m con un diametro di 4,5 m ed una scala lunga 25m con una pendenza di circa 30°.

Il tutto in 250gg o 215gg, con un numero di amici pari a sedici per ramazzare i sassi e portarli al supermarket (con i buoi), quaranta per i primi quattro metri di nuraghe e venti per gli altri nove; più Tziu Tottoi perché siete degli ignoranti e non sapete come disporre i conci!

Adesso godetevi la torre, l’ingiunzione di demolizione richiesta dal comune, il processo per danni intentato dai vostri vicini, la denuncia e la richiesta di risarcimento danni per l’occupazione abusiva del parcheggio del supermarket, la costosissima cura contro la cirrosi epatica, per voi ed i vostri amici, e la richiesta di interdizione per incapacità mentale intentata dalla vostra ex-moglie: tutto in sei o sette mesi.

Contenti?

E allora state con noi per il prossimo Archeo Attack!

P.S. – A proposito della materia prima: non ci sono nuraghi i cui conci provengano da distanze superiori ai 300m (media); se voi foste così sfigati da capitare nell’unico posto della Sardegna senza pietre, raddoppiate gli amici che portano i conci, da sedici a trentadue; la distanza media salirà a 600m ed il tempo impiegato sarà lo stesso (se poi non li trovate neppure così, chiedete all’infermiere dove vi trovate, perché probabilmente il vostro manicomio non è in Sardegna!)

Estratto e modificato da: A. Moravetti – Ricerche Archeologiche nel Marghine – Planargia – Carlo Delfino Editore

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venerdì 21 maggio 2010

UNA SUPPOSTA DI ARCHEOLOGGIA: MA QUALE CAPOVOLTO?

di Desi satta


I menhir antropomorfi della Sardegna centrale sono tanto affascinanti da commuovere. Sarà che sono nostri, però mi sono sempre sembrati i più belli del mondo. Di certo sono i più enigmatici.

Una visita al museo di Laconi, dove sono stati raccolti i più rappresentativi per evitare che vengano rubati (sic!), restituisce le immagini di figure e categorie espressive lontane nel tempo e però, data la consuetudine con l’arte della prima metà del secolo scorso, geometria, essenzialità, simbolismo, ci sembra di sentirli particolarmente vicini.

A sentire i più, le statue-steli (o steli-menhir), diffuse in un ampio territorio che abbraccia gran parte dell’Europa occidentale, sarebbero falli di pietra, figure essenziali alle quali, a cavallo dell’eneolitico e dentro il primo bronzo, si cominciano ad aggiungere fattezze umane schematiche. Qualche tratto per il volto, talvolta due seni, le braccia, spesso oggetti simbolici indice di posizione sociale: armi (pugnali, accette, spade, archi) abiti splendidamente lavorati, ornamenti, alabarde, animali.

Se si tralascia per il momento il caso sardo, tutti i dettagli delle statue-steli ritrovate in Europa sono stati perfettamente identificati, salvo un caso, quello del famoso “object”, una sorta di corto bastone di cui non si conosce l’uso ma si intuisce il senso: probabilmente una specie di segno di comando, o scettro.

E quelle sarde?

Dei pugnali si è già detto: pugnali sono e restano anche se l’attribuzione al tipo Remedello è problematica. L’altro curioso simbolo enigmatico (unico anch’esso in tutto il panorama dei menhir antropomorfi) è la raffigurazione del cosiddetto”Capovolto” (fig 1 a sinistra; statua-stele Orrubiu IV). Si tratterebbe di un simbolo derivato da un’immagine antropomorfa col capo rivolto verso il basso, ad indicare il viaggio verso l’aldilà. In altri termini un defunto.

Questa interpretazione deriva da una lettura dei graffiti della cosiddetta “Tomba dell’emiciclio” della necropoli a Domus de Janas di Oniferi (Sas Concas) (cfr. (1), pag 8), mostrati nella fig.2 (essi sono realizzati in corrispondenza del portello di ingresso della tomba, appena più in alto, sulla sinistra).

Il “Capovolto” sarebbe l’antropomoforfo indicato con ‘1’, mentre i graffiti indicati con ‘2’ ne sarebbero un’evoluzione, una semplificazione, che avrebbe dato origine ai simboli riportati a rilievo sui menhir antropomorfi (un caso a parte il simbolo ‘3’ di cui si dirà in seguito). Secondo l’interpretazione corrente, il simbolo 2 sarebbe equivalente all’1, indicherebbe anch’esso il viaggio nell’aldilà del morto. Il ritrovarli in una tomba ne sarebbe una conferma (c’è stato chi ha voluto vedere un parallelo anche con la raffigurazione di Tanit rovesciata in una tomba ipogeica della necropoli di Monte Sirai).

Premesso che le raffigurazioni tombali dell’eneolitico (periodo al quale si riporta la necropoli in oggetto) contengono in genere simboli di rigenerazione (protomi taurine, spirali, denti di lupo), sia l’interpretazione del graffito 1 come un antropomorfo rovesciato, che l’equivalenza 1=2 appaiono deboli.

Parliamo del Capovolto. Se si trattasse effettivamente di un essere umano con il capo rivolto in basso, sarebbe evidentemente maschio, con un pene di lunghezza inusitata di cui non si attestano altre raffigurazioni. In particolare sarebbe ben diverso dall’antropomorfo a testa rotonda inciso su un peso da telaio ritrovato a Conca Illonis e considerato iconograficamente simile, tanto da essere citato come prova della correttezza dell’attribuzione del tipo 1 (fig 2 a sinistra). L’antropomorfo di Conca Illonis è asessuato ed ha il capo rotondo connesso al tronco da un lungo collo (che nel graffito di Sas Concas manca; esiste un tratto verticale che connette la coppella al resto del graffito ma risulta è molto spesso ed iconograficamente incompatibile; né si conosce in quale periodo venne realizzat0 e/o (eventualmente) ampliata).

È vero invece che sono attestati (si potrebbe dire in tutto il mondo e in tutte le epoche) numerosissimi antropomorfi caratterizzati dalla presenza di una coppella in mezzo alle gambe e sono interpretati dalla totalità degli esperti (ad esempio: E. Anati, I Camuni, Jaka Book 1982) come antropomorfi femminili, essendo la coppella una raffigurazione della vagina. In tutta evidenza, se si prescindesse dalla presenza dei simboli di tipo 2 e 3, qualunque esperto di graffiti neolitici/eneolitici non potrebbe che interpretare l’antropomorfo 1 come una figura femminile, intendendo in questo caso che il tratto verticale in alto non indica un pene bensì la testa. Le grandi dimensioni della coppella, potrebbero essere riferite a due eventualità: da una parte la possibilità che sia stata ampliata nel corso degli anni durante riti di rigenerazione che prevedessero un’azione meccanica sulla cavità (intendendo con questo una nuova nascita del defunto), oppure che si tratti di un parto simbolico, di un nuovo essere che esce dall’utero della terra dopo essere stato da essa inghiottito, attraverso il portello della tomba. Non può essere escluso, infine, che i graffiti siano stati deteriorati da azione meccanica deliberata nel corso degli anni (non ultima l’abitudine riprovevole di ripassare i graffiti col gesso!).

Altrettanto problematica appare la sintesi del “Capovolto” nel graffito di tipo 2. Attraverso quale meccanismo simbolico si sarebbe scelto di rappresentare il morto unendo la testa alle gambe ed al pene, piuttosto che conservando testa e braccia, con eventualmente una porzione del torso?

Bisogna ricordare, che graffiti di esseri umani “dimezzati” sono ben attestati nell’eneolitico/bronzo della Valcamonica (Anati, op. cit. fig 3). Essi sono rappresentati da un “mezzo” antropomorfo di cui si conserva la testa e le braccia; queste però incorniciano la testa e non si trovano dalla parte opposta (come sarebbe il caso dei graffiti di Sas Concas). L’interpretazione corrente, li vorrebbe simboli di spiriti (entità soprannaturali o defunti) e non sono mai rappresentati con la testa in basso.

Se poi osserviamo i graffiti tipo 2a notiamo che essi (simili al tipo 2) sono privi della coppella (ovvero la “testa”nell’interpretazione di Atzeni) ed è presente il caso tipo 2b che è chiaramente una protome taurina (simbolo di rinascita e potenza sessuale).

In conclusione, l’ipotesi che il simbolo sui menhir antropomorfi sia un “Capovolto”, si basa:

1) Sull’interpretazione che il graffito tipo 1 sia un capovolto;

2) Sull’ipotesi che il tipo 2 sia anch’esso un capovolto (ma su quali basi?);

3) Su una mancanza di spiegazione in merito alla presenza dei simboli di tipo 2a e 2b (cosa sarebbero?)

Per quanto riguarda i simboli di tipo 3 (attestati anch’essi nei menhir antropomorfi, sebbene più rari) ancora una volta, non si spiega per quale motivo, se davvero si trattasse di antropomorfi capovolti, dovrebbero avere le braccia invertite rispetto al tipo 1 (e per di più curve e non squadrate), né per quale motivo in un caso sia presente la coppella (la “testa”) e in un caso no.

Si deve sottolineare, che Atzeni non fa alcuna ipotesi sulla stratificazione dei graffiti di Sas Concas, cioè non dice, ad esempio, se essi derivino da un’unica azione compositiva oppure si siano accumulati nel tempo (ed in tal caso, la “Stilizzazione” del capovolto, cioè la transizione dal tipo 1 al tipo 2 troverebbe una certa consistenza). Poiché tuttavia non esiste alcuna sovrapposizione tra i graffiti, si dovrebbe assumere come prevalente l’ipotesi che essi siano stati realizzati in un unico atto, e dunque rappresentino un “messaggio” simbolico compiuto. In tale eventualità, la riduzione del “Capovolto” al “Tridente” sarebbe di difficile giustificazione.

Si deve anche citare il fatto, che i graffiti antropomorfi isolani sono assai pochi (se confrontati con le decine di migliaia dell’area alpina, ad esempio) dunque è difficile operare su base statistica come avviene con altre realtà più ricche (le alpi Marittime o la Valcamonica). Ancor meno se si restringe l’indagine a quelli presenti nelle Domus de Janas, in cui i graffiti di figure antropomorfe sono molto rari.

Tuttavia, essendo attestati fin dal neolitico commerci (ad esempio di ossidiana) tra l’isola e l’area meridionale francese e ligure - e di conseguenza scambi culturali - non sarebbe inopportuna una comparazione con l’iconografia dei graffiti presenti in quelle aree.

Supponiamo che i “Tridenti” raffigurati accanto all’antropomorfo di tipo 1 non siano una rappresentazione del “Capovolto” (e più in generale che l’antropomorfo 1 sia una figura femminile e non un Capovolto): cosa potrebbero rappresentare?

È bene sottolineare, a scanso di equivoci, che dentro i graffiti protostorici si può vedere di tutto: gli UFO, i marziani, su ballu tundu e su passu torrau, antichi alfabeti, Yahvé. È uno dei settori in cui i pazzoidi e gli amanti della fantarcheologia si sbizzarriscono di più, soprattutto per via del fatto che in mancanza di basi storiche (e per le ovvie difficoltà dell’archeologia nel caso specifico) qualunque scemenza finisce per avere senso nel pubblico dei non addetti ai lavori. Pertanto, da non addetta ai lavori, la mia modestissima critica ad Atzeni vorrebbe essere basata soprattutto su due aspetti: a) la bassa statistica alla base dell’attribuzione, e b) una comparazione con graffiti coevi di altre aree geografiche, con le quali è archeologicamente attestato uno scambio culturale.

In altri termini eviterò accuratamente raffronti con categorie simboliche o artistiche riconducibili al presente, che sarebbe poi l’errore tipico degli “studiosi” de noantri.

Inoltre, per ragioni di spazio, non presento esplicitamente tutte le figure dei tridenti presenti sulle statue-steli; raccomando (per chi fosse interessato) di esaminarli rapidamente, per apprezzare la variabilità della rappresentazione, scorrendo il volumetto di Atzeni disponibile come PDF (1).

Nella fig 1, a destra, ho evidenziato il tridente, suddividendolo nelle due parti, A e B. Propongo un piccolo quesito. Supponiamo di non aver mai sentito parlare del “Capovolto”: cosa ci ricorda la parte B? Prima di rispondere, suggerisco ancora di scaricare dal web il (gradevole) libricino di Atzeni sul museo di Laconi per osservare con attenzione tutte le figure riportate.

Non pretendo che si sia d’accordo con me (mi parrebbe eccessivo!): mi rammentano le corna di un toro, soprattutto per il fatto che in alcuni casi (ad esempio Pranu Maore III, pag 19, Tamadili I, pag 23, Martingiana II, pag 24, Piscina ‘e Sali II, pag 53 ed altri) sono talmente arcuate che arrivano a toccarsi all’estremità. Se si trattasse degli arti (inferiori) di un antropomoforfo, sarebbe l’unica attestazione che si conosca (per quanto ne so) mentre per gli arti superiori ci sarebbe qualche esempio (assai raro) (ad es Anati op. cit. pag 167, orante femminile con braccia (quasi) unite sulla testa e due coppelle in mezzo alle gambe).

Credo insomma che il simbolo letto come “capovolto” sia altro, e comprenda le corna taurine e un altro oggetto sovrapposto.

Del resto, quando le rappresentazioni antropomorfe graffite (schematiche) assumono proporzioni maggiori, si assiste automaticamente ad una maggiore definizione dei dettagli naturalistici (dita, viso, genitali primari e secondari) com’è testimoniato, ad esempio, dalle braccia ricavate in rilievo sulle statue-steli della Lunigiana e Aosta, o dalle raffigurazioni naturalistiche (pitture) del neolitico della valle dell’Ubaye (cfr “Sui sentieri dell’Arte rupestre - Edizioni CDA, 1995), in cui all’estremità degli arti compaiono invariabilmente le dita. Il caso del “Capovolto” sui menhir antropomorfi sardi, sarebbe dunque l’unico esempio al mondo di antropomorfo con arti schematici a punta. (Si veda inoltre l’antropomorfo sul peso da telaio di Conca Illonis, in cui addirittura sono raffigurate le mani.)

Sebbene non possa dare il link di riferimento, ricordo che l’ipotesi di una diversa attribuzione del tridente è già comparsa in rete, sebbene mi sia parsa dubbia. Essa, se non ricordo male, si riferiva alla possibilità che alle corna taurine si sovrapponesse un coltello (in bronzo). Da parte mia, sarei portata ad escluderlo, poiché il coltello è effettivamente rappresentato alla cintola con dovizia di particolari (il caso di Tamadili I di (1) pag 23 è esemplare per la raffigurazione di un coltello in pietra). Non si dimentichi inoltre, che le raffigurazioni di coltelli in bronzo sono assenti sull’isola, laddove sono numerosissime nelle aree di confronto di cui parlavo pocanzi (essenzialmente di tipo Remedello).

E’ vero invece che in alcune rappresentazioni antropomorfe riconducibili alle statue-steli, sono raffigurati oggetti che si pensano quasi esclusivamente di uso simbolico, come le ben note “alabarde” (ad esempio la composizione pseudo antropomorfa del ‘Capitello dei due Pini’ a Paspardo – Valcamonica, fig 4; si notino anche cinque pugnali di tipo Remedello nella rappresentazione classica).

Le alabarde non avevano (si pensa) un uso pratico ma rappresentavano piuttosto il simbolo di un elevato status sociale (sul tipo degli stendardi medievali).

Ritengo insomma che varrebbe la pena considerare il ‘tridente’ da questo punto di vista, anche alla luce del graffito tipo 3 (fig 2, parte 1/2) che consiste (nella mia ipotesi) di due protomi taurine sovrapposte, unite dal tratto verticale. Tale rappresentazione si ritrova nei menhir antropomorfi sardi (ad es. Genna Arrele II, pag 15 in (1)) e le doppie protomi sovrapposte sono assai comuni come segno di rinascita nelle Domus de Janas (non sto a citare: da Villaperuccio in poi).

Per riassumere:

· ritengo debole l’attribuzione al graffito 1 del significato di ‘defunto in viaggio verso l’al di là’;

· credo che nei graffiti della Tomba dell’emiciclo siano rappresentati un simbolo femminile di rinascita ed altri simboli di ‘status sociale’ della famiglia di cui accoglieva i morti (tridenti singoli e doppi);

· ipotizzo che gli stessi simboli di ‘status sociale’ siano rappresentati sui menhir antropomorfi assieme ai coltelli, all’interno di un sistema simbolico che presenta evidenti analogie con quello coevo del Nord Italia, salvo le ovvie differenziazioni locali, con il quale sono attestati scambi culturali.

In conclusione, vorrei sottolineare ancora una volta come si tratti di suggestioni da non addetta (e visto che le suggestioni le hanno anche gli addetti ai lavori vorrei prendermi la stessa libertà).

Poiché scrivo in un blog che si chiama Archeoattack, e intitolo l’intervento Supposta di ArcheoloGGia, mi pare ovvio che si parla tra amici e non si ha alcuna pretesa di gridare alla verità offesa o all’untore che nasconde i menhir.

Che sono tutti esposti museo di Laconi e raccomando caldamente di andare a vedere: avendone ammirati molti un po’ ovunque per l’Europa, posso assicurare che si tratta di un’espressione simbolica assai intrigante ed unica (gli unici che reggano il confronto per bellezza e capacità di coinvolgimento emotivo, sono quelli di S. Martin de Corleans ad Aosta e quelli di Sion). Tra l’altro un’espressione simbolica “nostra” e “vera”; per dirla con una sola parola: “Sarda”.

desi.satta2@virgilio.it

(1) http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_4_20060403120123.pdf

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